Capitolo 169 Mauro Ferrarese album Still walkin’

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Jones, come al solito, ci fornisce altri motivi di nuotare nella freschezza oceanica:

- Segnale! Nel 340, rotta nel 270, distanza 19 miglia, velocita 3 nodi, profondità 015… nuova firma sonar in trattamento…

- Beh, al meno torniamo vicino alla superficie, rotta nel 300, avanti 1 quarto, profondità 015. Jones, firma sonar?

- Sta finendo di trattare… Mauro Ferrarese, firma sonar in banca dati.

- Capo? fammi una richiesta di dossier sulla rete flash…

Siamo in cammino per riavvicinarci del rilevamento e mi sto aspettando a sentire il telex della rete flash imbrattare carta. Il capo centrale si precipita verso la cesta di carta perforata per distillarne il contenuto pero, questa volta, c’è un foglio solo.

- Quel tizio non è sugli social, annuncia il capo centrale, abbiamo ben poco sul suo percorso. Solo due album disponibili su Bandcamp: Wounds, Wine & Words è stato registrato a casa, in un giorno, il 18 febbraio 2010 da Mauro Lazzaretto. Partecipano Aronne Dell'oro agli cori e Diego Potron al Weissenborn e un certo R.W. Serenaders che fa dei cori su “Santo Cielo”. Poi il recente “Still Walkin'” nostro rilevamento ancora registrato in cantina, tra gennaio e Febbraio 2021. Paolo Palmieri and Sebastiano Lillo si sono occupato del missaggio e del master al Trulletto Records Studio (Puglia). Non ho gnent altro…

- Che cos’è sto Weissenborn?

- Allora questo c’è pero, è un modello di “lap steel guitar” fatta in California dal 1920 da Hermann Weissenborn che ha la particolarità di avere la cassa di risonanza dello strumento che va fino sotto al manico della chitarra, fino al capo tasto, stabilizza lo strumento molto meglio sulla gamba e dà questo suono molto più ampio, dovuto al volume di risonanza molto più importante.

- Ah beh! Non la sapevo questa. Dai! Sorvoliamo il primo album prima di attaccarci alla nuova uscita.

Mi sa che siamo di fronte ad un lupo solitario, un esploratore di spazi aperti, che parte a l’avventura con la chitarra sulla spalla. Mi ricorda un personaggio incontrato casualmente qui a Lincoln nel 2008. A l’epoca in quale Il pub “The Jolly brewer” proponeva le serate “Microfono Aperto” per tutti musicisti in erba della regione. Io ovviamente sbarcato di fresco, ero venuto a sentire il set di Korin Tomqueen di Thorn Cult records incontrato qualche settimane prima e che mi portava i CD del suo catalogo. La serata era presentata da Bob Cairns, un blues man, con la sua chitarra 5 corde e per scaldarsi prima di cominciare, seduto accanto a Korin e me, aveva rilasciato un pezzo di chitarra allucinante, punteggiato di armoniche precise e postate li, alla velocita del suono. Il tizio era in condizioni fisiche pessime, sotto medicazioni pesanti, ma suonava la sua chitarra più velocemente della sua ombra. Mauro sembra fatto dello stesso legno, s’ingenua di condire di vari stili e variazioni le sue creazioni. Gioca con poco; chitarra e varianti nelle mani, ritmo al piede e voce. Basta. Le due registrazioni sono tutte in un inglese perfettamente chiaro ed intelligibile. Una rarità.

Di “Wounds, wine and words” il primo album, rimane in testa la prima canzone “Front door Blues” che ha per qualità di avere una partitura di chitarra lavorata e suonata con maestria. Ci si aggiunge sopra una voce composta di rocce e ghiaia che scendono da un torrente in piena. Dal punto di vista del testo, il soggetto di tutte le canzoni, sono i soliti classici del blues perché se va tutto bene non interessa nessuno. Tutto questo album del 2010 è buonissimo e sospetto che la pubblicazione dei due album durante inizio 2021 nasconde una discografia molto più ampia, ma non ancora disponibile su bandcamp. Mi sto chiedendo cos’è veramente successo fra 2010 e 2021…

- Capo? Mi faccia una richiesta più approfondita sulla discografia, vorrei essere sicuro…

- Aye, aye sir!

“All I can do” inizia con il suono metallico di un dobro o un resonator, queste chitarre con cassa di risonanza tutta metallica o con solo un disco metallico incastrato nel legno, come sulla copertina di “Brothers in arms” di Dire straits. Dopo una consistente introduzione l’immagine di un asino camminando al passo, sotto un sole implacabile, su un terreno arrido, viene in mente. La voce rocciosa descrive la mente del viaggiatore: “There is a song for every mile of the way”. Il secondo verso e accompagnato da un ritmo fatto al piede. Siamo già nel tema dell’album: il viaggio, la strada, il percorso della vita, il bene fatto, il male ricevuto, gli sbagli e rimorsi, portano tutti ad oggi e qua.

“Let me walk” come il resto dell’album è fatto di una serie di prese fatte, in quale ci si seleziona la migliore, senza tagli ne rilavorazioni di nessuno tipo. Magari l’aggiunzione di percussioni mezza luna qua e là sull’album. Il ritmo è leggermente più lento, il suono della chitarra sempre metallico, e la voce richiede un po’ di compagnia allungo il cammino. I versi sono separati da più larghe spiagge strumentali.

Sembra una 12 corde e bottle neck a colorire “Everybody ought to treat a stranger right”. Appare un tamburino mezzaluna per alzare la seconda parte della canzone. Appariscono per la prima volta rumorini a consonanza legnosa. E un “bottle neck” infilato sopra il mignolo che colpisce accidentalmente il manico della chitarra. La presenza di questi rumori dà un aspetto “senza filtro” alla registrazione. La canzone traduce sicuramente il contrasto fra l’accoglienza che Mauro ha sicuramente ricevuto da viaggiatore, durante chilometri a mangiare polvere e le ondate di migranti sbarcati recentemente dal mediterraneo. Le idee e i principi di questo blues sono lodevoli ovviamente, ma stranamente, il contrasto con la realtà del terreno diverge leggermente.

Passiamo ad una chitarra folk più classica e una voce più scalfita, su “I got it” un brano a l’atmosfera più gioiosa a l’eccezione delle parole “If this blues won’t leave me, my body ‘s gonna break” Lo stato del morale deperisce e Mauro chiama il dottore che li risponde “Blues is all you’ve got”. Si…  “I got it” si referisce al blues e alla malinconia che il sior Ferrarese si trascina dietro.

“Trouble bound” cammina su un ritmo calpestato con decisione. La chitarra fa maglia alla fine di ogni frase per ricamare la progressione della canzone di interventi o sincopati, o rapidi, o fatti di scatti vari, o crescendo. “I hear a young soul singing all over town” o ancora “Something is wrong on our path someone don’t know how to smile”. Vero… Sorridere… non ci sono scuole per questo.

Ritorno dei rumori di bottle neck sul manico della chitarra. C’è una risonanza di 12 corde su “Come to my garden” un invito ad apprezzare un po’ di pace e di contemplazione e eventualmente passare la notte, mettiamo che fa l’invito solo a gentile signore. Magari se sono paziente trierà fuori una o due chitarre…

“See Y’all” e suoi suoni metallici, riprende la strada “Sono andato troppo lontano, non posso girarmi adesso, vado di citta in citta” a far buskin’ che è suonare per strada per qualche spiccioli. La voce è assettata ma il ritmo sostenuto si calca su l’andamento del vagabondo, che va a buon passo.

Ritmo Jazzy per la canzone “Another one” con la voce la più rauca e scalfita di tutti due album; quasi un Tom Waits che esce di raffreddore. Sembra che siamo passati su una chitarra classica, senza rumori di percussioni. La chitarra è monotona, campata nel suo giro di accordi, posizionando la voce e la sua melodia in evidenza.

La chitarra a 12 corde torna su “Is anybody out there” per una partitura che ondeggia in intensità e in volume. Piu calma sui versi e intensa negli spazzi liberi. Mauro è uno strumentista esperimentato e lo dimostra pienamente su questo brano. Il finale della canzone testimonia dell’incredibile risonanza dello strumento su l’ultimo accordo.                

“Still walking” no dichiara alto e forte “Cammino ancora” per significare sono ancora vivo, ma sono ancora in cammino, cioè, in cerca del mio Graal o di qualsiasi grande obbiettivo. Una signora magari, un ideale, chi sa. Non l’ha ancora trovato ed ancora in cerca. Come diceva Bono degli U2 “I still haven’t found what I’m looking for”

Mauro ha saputo, su l’arco dell’album, scegliere gli strumenti adatti a l’atmosfera che corrisponde al clima del testo, creando un rilievo necessario per variare il contenuto dell’album suonato unicamente con piedi, mani e voce, di una sola persona.

Sarà il telex della rete Flash a darci in extremis la risposta sulla discografia completa di Mauro Ferrarese. Il capo centrale mette suoi appunti in ordine e conferma la carriera completa dell’artista.

- Beh, capitan abbiamo la bellezza di 11 album in totale… Allora c’è “Big Road Blues” del 1999, poi “Blues an'Other Stories” del 2004. Segue “Flesh & Wood” in 2007 insieme a “Red Wine Tapes” dello stesso anno. Abbiamo parlato di “Wounds, Wine & Words” nel 2010. Tra il 2011 e il 2015 abbiamo “Tracks From the Ol'Station”, “Chapter Two” e “Rust & Lust”. Poi forma una band chiamata Sacred Roots dove ripropone in chiave elettroacustica, spirituals e blues tradizionali con altri amici musicisti.

Quindi abbiamo Sacred Roots con l’album eponimo Sacred Roots. E una seconda registrazione; Dancin' the Blues. E in fine Still Walkin' che è stato nostro rilevamento. Mi sono arrivati un po’ di dati anche… Se vuole sapere: Mauro è nato a Milano e abita attualmente Riva del Garda.

- Beh sarà il nostro graal di mettere la mano su queste registrazioni. Eh capo? Secondo? ci calcola una rotta per tornare alla Base Nibraforbe, li lascio il centrale. Sarò nel Mess ufficiali a sapere cosa Seven Seagul, il cuoco, ci ha preparato per cena…

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