Capitolo 146 Ettore Filippi album Verso sera
[…] Seguito recensione Nick Petricci
Il Wyznoscafo aveva subito la gran maggior parte della sua trasformazione, ma era ancora al bacino secco, sotto perfusione. Doveva ancora essere richiuso, gamma-graffato, subire una valanga di test prima di riconsegnarmene il commando. Ero in cucina a prepararmi il pranzo, quando sento il flap del buco di posta richiudersi e il campanello suonare… Strano, il postino era già passato. Il tempo di asciugarmi le mani, trovo nella cassetta di posta una busta e un CD, apro la porta ed esco dal cancello per dare un’occhiata per strada. La Via Camp Lion è deserta. Neanche una macchina dentro o dietro quale nascondersi. Nessuno. Questo non è l’usuale discrezione di fanfara del Intel, ne sono sicuro. Torno dentro, apro la busta:
C’è un foglietto formato post it: Filip Milenkovich batteria, Marco Stagni basso, Nicola Paissan chitarra, Matteo Cuzzolin sax tenore, Mattia Cappelletti flauto, Nicola Fadanelli viola, Andrea Vezzoli clarinetto basso, Ettore Filippi tastiere e voci. Registrato in parte al Niva studio da Ivan Benvenuti, Prodotto da Roberto Segato, mixato da Fabio de Pretis al Blue noise, mastering di Mauro Andreolli. Il tutto scritto a mano, anche in fretta, e a dire la verità, fra i musicisti nessuno degli nomi mi dice qualcosa, tranne uno: Roberto Segato, già schedato come membro dei TINS e insegnante a Rovereto al centro didattico musica teatro danza. Poi Matteo Cuzzolin mi sembra essere apparso recentemente da qualche parte sicuramente intorno ad Adele Pardi, ma senza il Capo centrale a portata di mano non saprei dire di sicuro. So bene che sono di riposo ma inserisco il CD nel lettore… mentre i primi suoni mi arrivano mi attardo sulla copertina. Sembra un paesaggio velato di foschia, creando uno sfuocato artistico in quale uno stormo di uccelli contrastano contro il cielo ancora chiaro. Il quadro è di Marco Ricci della “Casa del Mirto” e scopro con sorpresa le capacita artistiche di Marco in questo campo.
Dopo una decina di ascolti l’atmosfera dell’album sembra poco solare, piuttosto crepuscolare e ho un po’ di difficolta a situarlo perché si trova su una moltitudine di incroci: Tra musica classica e colonna sonora, tra cinema e teatro, tra versi e prosa, tra canto e recitazione, tra poesia e letteratura, tra il calmo di Battiato e i decolli vocali matti di Enzo Jannacci. (Lasciamo il fiol in pace, pero) L’ascolto non può essere casuale, bisogna prepararsi, essere pronto a l’introspettiva e le alle riflessioni o pensieri che seguono l’opera. Non è musica da picnic. L’ascolto richiede uno sforzo immaginativo quasi cinematografico; è come sentire una colonna sonora senza vedere le immagini. Senza referenze di collegamento il suono rimane rumore senza scopo e le immagini da sole, non avrebbero lo stesso peso senza il suono. Solo la combinazione dei due dà la profondità di campo necessaria all’apprezzamento dell’opera. Qui, bisogna sostituire le immagini con il testo.
“Caddero le stelle” presenta la totalità dei musicisti per un brano strutturato e portato avanti da una batteria volontaria che scatena la presenza degli altri strumenti intorno a suoi cambi di umore. Il sassofono fa figura di prua nei passaggi ritmati. La traccia passa da potenza tellurica verso versi rassereni e sussurrati.
“La sera del Fauno” è percorso di rumori che mimetizzano il canto dei grilli. La struttura del testo è quella di una poesia a versi corti. Qui la strumentazione cinematografica macchia di suoi interventi una superficie acquatica liscia.
“La sera il raccolto” è un testo declamato senza ritmi precisi, un suono di chitarra piange su il ritmo di un pianoforte funeste, il flauto traverso punteggia interventi brevi e fugaci, fino ad un ritornello: “Abbracciami dolce sera, abbracciami mia sirena, solleviamo l'orizzonte, mi disseterò alla fonte.”
C’è bisogno di un minimo di due persone per giocare a “La partita”, quella giocata con la vita. La mano è distribuita a caso e non bisogna perdere le carte maestre, perché le maniche sono vuote e le regole rispettate… e a doppio taglio.
“Una stagione all’Inferno” contiene ovviamente l’atmosfera la più scura e il ritmo il più trascinante del opus. Archi malinconici scortano una voce che cammina ad un passo ferito, l’aspetto funesto del brano è accentuato da un suono di campana cupa e cerimoniosa. Solo l’ultimo minuto arruffa il lungo lamento di una breve, ma intensa tempesta musicale.
“Sere di maggio” è una preghiera, un invito reso leggermente più lieto e leggero dal flauto e dal pianoforte, scortati da suoni profondi e marini, che sfiorano occasionalmente il retroscena.
“Crepuscolo” inizia con un rombo sotterraneo, l’ultima traccia dell’album, è uno semplice strumentale guidato da un pianoforte che scorta, con la calma dovuta, l’uditore verso la sua introspettiva e suoi pensieri personali.
La profondità intrinseca dell’opera potrà facilmente scappare alla moltitudine per l’accento di serio e di solennità portata alla realizzazione di essa. Un’anima contemplativa potrà sicuramente divagare fra i rilievi creati. Non è un disco da mettere fra tutte le mani, l’ascolto non è facile, il tema è serio e personale.
Mi va di uscire a fare un giro, tanto fra poco dovremo fare la prima immersione test del Wyznoscafo e prima di richiuderci nella nostra latina di fero, preferisco andare ad arearmi i neuroni. Tanto è quasi sera…
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