Capitolo 210 Undertone EP Reflections
[…] Seguito recensione Stef Giordi
Sarà il penoso suono dell’interfono di bordo a tirarmi fuori dal sonno. Che peccato, stavo sognando di correre dietro una super tipa, piuttosto invitante, su un sentiero di montagna e stavo quasi per raggiungerla. Con pena trovo l’interruttore della mia luce di letto e premo il pulsante dell’interfono:
- Avanti.
- Scusate capitan, ma abbiamo un segnale nel 030, distanza 21 miglia con una nuova firma sonar Undertone. Un EP di 4 tracce.
- Hmm… Mi dice qualcosa… Non sarebbe il gruppo che voleva presentarsi al Trentin’ Music Award 2022 ma hanno pubblicato l’EP 6 o 7 giorni dopo la chiusura delle preselezioni?
- Son ben quelli, Capitan, Il secondo sta già manovrando per infilarci nella loro scia.
- Pfff… Ok, tieni duro Jones, arrivo.
Mi vesto contro voglia, poi ho un ciuffo ribelle in cima alla testa che non vuole appiattirsi, anche se mi bagno i capelli. Poi, ho gli occhi in fondo alla testa. Premo il pulsante dell’interfono:
- Fatemi trovare un mega tazzone di caffè in centrale, arrivo.
Calzo il mio berretto di lana scura e raggiungo il centrale. I timonieri sono sorpresi del mio copri capo. c’è un quarto di secondo di silenzio al mio arrivo poi, la vita riprende. Il secondo non pippa parola e mi passa la mano:
- Sono davanti a noi nel 035, rotta nel 035, velocita 8 nodi, distanza 20 miglia, profondità 090. Il capo ha ricevuto il rapporto da l’Intel, occhio al tazzone di caffe con due zuccheri, è ancora bello caldo.
- Grazie Secondo, prendo il centrale, vada riposare, ma che ore sono?
- 04.35 del mattino, Capitan…
- Capo? Cosa diset?
- Allora, Gli Undertone nascono nel 2015 da un’idea del chitarrista Matteo Stefani e del bassista Luca Sittoni. Andrea La Scala chitarra e canto raggiunge la formazione poco dopo. Con Anna Vettori alla batteria la formazione si completa ed i quattro cominciano a lavorare su pezzi propri, ma Anna deve purtroppo lasciare il gruppo. Nel 2018, con l’arrivo di Giacomo Dallavalle alla batteria, il gruppo torna ad esibirsi dal vivo e si concentra sulla composizione. Tutta la musica è composta dal gruppo intero, le parole sono di Andrea Lascala. Il loro suono spazia da accordature basse, il famoso “drop D”, da distorsioni pesanti a suoni cristallini, momenti melodici e atmosferici. L’album è stato registrato tra la casa di Andrea e le sale della storica Area Musica, il missaggio e il master sono di Nico Tommasi, la copertina e la grafica dell’album sono di Andrea Lascala, tutto lì…
- Bene, grazie Capo! Scanner, doppler, spettrometro, decoder audio, cominciamo!
I Undertone abbordano la composizione dei loro brani in un modo leggermente diverso degli altri gruppi di rock stoner. Loro pezzi sono trattati con una proporzione Pinkfloydesca fra i versi cantati e passaggi strumentali. Quello che vogliono suonare è lasciato espresso nel suo ritmo naturale e non tiene conto del formato radiofonico richiesto, per sboccare sulle onde. Lunghi e piacevoli movimenti musicali alternano versi cantati e non sono mai strutturati in modo consueto. Ovvie influenze grunge, condiscono i vocali e le proporzioni presente fra basso e chitarre. Il più sorprendente è che riescono a diventare quasi plananti negli spazi strumentali, sparsi di mezzo alle loro creazioni. Se come me, non siete stati impressi durante il primo ascolto, tornate a calzare le cuffie per due o tre altri giri, con un altro umore, sarà il momento in quale si rivelano nella loro vera dimensione. Troverete conforto nella lunghezza dei brani, negli arpeggi e nei assoli di chitarra, nei suoni aspri, nel grezzo della voce, nelle partiture del basso e negli interventi della batteria. Si sente la voglia di non seguire modelli attraverso qualche indizio; Si chiamano Undertone direttamente, cosi… Senza essere “the” Undertone, influenze possono essere riconosciute ma non sono mai copiate, la lunghezza dei brani dichiara il rifiuto di seguire il branco e non entrare in forme stabilite. Retrogusti di Sound Garden e di Pearl Jam passeggiano discretamente sul retro, Nirvana punta del naso attraverso accenti sparsi qua e là. Cantano in un eccellente inglese, privo di accento locale, I Undertone mi piacciono anche perché un basso, bello presente, conversa allo stesso livello delle chitarre, poi il tizio al manico dello strumento è piuttosto bravo.
“Acid rain” è d’entrata la traccia la più lunga dell’album; oltre 7 minuti ed inizia con il basso. Quindi, prendete pantofole e servitevi un bel bicchiere di Nosiola, scegliete una poltrona profonda e due tre noccioline, perché il viaggio si farà senza fretta. L’introduzione score oltre un bel minuto senza un nano-secondo di noia. Guidano loro e vi portano attraverso versi ritmati, ritornelli leggermente più temperati, cambi di ritmo, frase di chitarre isolate per qualche battute, assoli di chitarra nella parte iniziale. Poi quando parte, parte sul serio; ha l’aspetto di un macchinario potente, che sa pero, andare al passo nella parte centrale della canzone, cosi, per spezzare il ritmo e lasciare belle frasi musicali introdurre un verso alieno, prima dell’assolo di chitarra. Anche il finale e ricamato a mano. Lode! Direttamente! Cosi… Perché lo voglio!
“Wait” è condito di influenze Pearl Jam e non di quelle fate a meta! La melodia del canto è piacevole e melodica, nonostante l’aspetto Rock solido, condito di piccoli punteggiamenti della batteria sulla rullante, per sottolineare un secondo, a momenti scelti nella partitura. Tutto come nella prima canzone i vocali sono raddoppiati per creare un rilievo, poco percettibile, ma per lo meno presente nella melodia del canto. Le chitarre si combinano nel ritornello per sollevarlo. Ancora una bella composizione.
“Tarnished” si presenta sotto un aspetto più pesante nel corso del suo sviluppo. I suoni diventano più bassi, la distorsione sul tutte le corde è spinta verso il limite, il cielo diventa di piombo. Il basso e le chitarre sono fusi assieme per creare questo suono compatto. Oltre 3.40 il brano cambia atmosfera; un arpeggio di una chitarra più limpida si lamenta in una ripetizione ipnotizzante, sostenuta dal basso. Gli effetti sulla chitarra solista lì danno sembianze di tastiere, il loro suono esteso sembra disegnare una nappa di nebbia in un paesaggio scuro.
Esperienza amnesica “Tell me” conclude l’EP per lasciarci divagare senza memoria attraverso un altro rock addobbato di una partitura arpeggiata di chitarra, che ritiene l’attenzione. Possiamo individuare tre parti nel pezzo. La prima parte contiene il corpo principale della canzone. La parte centrale è uno stacco calmo che porta verso un altro ritornello, seguito da una parte cantata in quale, voci fantasmatiche accompagnano la voce principale, passeggiando nella distanza e conducono a l’assolo di chitarra. Il finale è un lamento intorno alle parole “Nobody knows my name” ripetuto ad libitum e in quale il gruppo si libera del tutto.
Quattro brani sono stati distillati con cura in oltre 26 minuti. Spazio è stato lasciato allo spazio, tempo è stato lasciato al tempo. La scelta della libertà di fare a testa sua, può sicuramente, ma deve diventare il tratto di identità intrinseca alla formazione, perché il risultato finale è strutturato, costruito e piacevole a sentire. L’energia affianca stacchi appassiti, suoni chiari completano suoni grezzi, le parole sono scritte in un Inglese accurato e cantato più che bene. Per un primo lancio, direi che hanno conquistato l’equipaggio di questa unita e il suo comandante, che aspetta pazientemente che altre registrazioni confermano lo statuto della band. Capel bas’ dal capitan.
- Stacchiamo! Torniamo alla base, tanto siamo nelle sue vicinanze immediate. Rotta nel 270, avanti 3 nodi, profondità periscopica, torniamo a casa!
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