Capitolo 53b Razzi Totali album La Citta del Niente
I Loyal Wankers sono appena passati sopra di noi a tutta velocita, siamo appoggiati sul fondo perché un altro rilevamento viene rapidamente nella nostra direzione:
- E gli Razzi Totali? Dove sono a quel punto?
- Vengono quasi su di noi anche loro, rotta nel 250, velocità 15 nodi, profondità 090. Passeranno a circa una miglia a nord della nostra posizione. Esclama Jones al sonar.
- Secondo lei, Secondo... saranno a portata della nostra strumentazione?
- Tranquillamente Capitan, ma mi turba più il fatto che vanno nella stessa direzione che i “Wankers”
- Ci deve esser un nido da qualche banda... nel 250.... E saranno sopra noi, fra quanto tempo???
- Mezz’ora, capitan...
Jones è sempre preciso... mi fido.
- Capo centrale, mi tira il dossier dei Razzi Totali fuori dell’archivio. Rimaniamo campati sul fondo...
Vedo la quantità di dati da analizzare prima di saltare sul dossier rovente dei “Razzi Totali”. Dopo tutto I “Loyal Wankers” hanno fatto bene di arrivare più che velocemente nella nostra direzione. Hanno posticipato ad un periodo più calmo la nostra analisi delle 21 tracce di quello che più essere considerato come un doppio album. E un dossier da studiare con cautela visto il chilometraggio archiviato dalla band e l’evoluzione del contenuto musicale, allungo la carriera di questo longevo gruppo. Poi, da dove sbarca questo concept album? Perché arriva l’idea di farlo? Perché non continuare a produrre il solito? Poi colpo di intuizione mostruoso; l’Intel manda direttamente nel nostro archivio i tre primi album, poco prima che il gruppo ritirasse la totalità della loro discografia da Bandcamp.
1999 “Qualcosa accadrà” e 2001 “Nessuna cura” son due album quasi identici, al meno visti da dove siamo oggi. Stessa energia musicale, continuità nei suoni, cori secondo ricetta stabilita, ritmi lenti assenti. Livello dei testi un po’ su l’adolescente (è punk dopo tutto, non siamo qua per risolvere equazioni, né filosofare) rima non sempre obbligatoria, frase entrate nello spazio del verso con compressore o estensore di sillabe secondo necessita. Spirito casino-giovane-menefreghista, energia distribuita con l’ago nel rosso, generosità spalmata negli album di 13 o 14 tracce, sudore e birra in circuito chiuso. Poi 5 anni passano. Un titolo alieno appare sulla compilazione “Band underground Trentine” del 2006: “Fosse solo forse” ... Alieno, perché si stacca già delle produzioni precedenti: ed ora più orientato sulla potenza vocale del gruppo. Influenza notevole del coro alla settima dei Blink182, voce in avanti, strumenti in secondo piano per questa traccia singolare. Sembra che fa parte del “Cambio di stagione” nel 2006, con tracce meno disperse, più canalizzate, ordinate senza perdere né spirito, né intensità. Stessa energia, strumenti meglio spalmati su tutto lo spettro audio, registrazioni dei vocali calibrati al mezzo pelo, testi più maturi e pensati, partiture del canto e cori studiati, lavorati e lucidi. “Il Cambio di stagione” marca un cambio radicale, non nello stile della band, ma nel contenuto. Da quel punto pero, passano 10 anni. Poi eccoci: “La città del niente”. Mi immagino l’idea nascere piano dopo la scrittura di 4 o 5 pezzi, in quale galleggia un’idea, un punto comune, la riflessione dell’attualità...
“E perché non legarli assieme e raccontare una grande storia? Eh? Cosa ne pensate? Dai, fem!”
Ed ecco il concept album; quindici canzoni per descrivere la “Città del Niente”, cinque o sei tracce, sotto al minuto o poco di più, servono di legame a l’Opera, intercalati fra canzoni leggermente più lunghe, un po’ come un sorbet da buttar giù per far passare pranzi da 8 o 9 corse. E una specie di “The Wall” alla moda punk rock. Ma cos’è questa città del niente, cosa potrebbe essere? Potrebbe essere ovunque, non soltanto in Italia anche se il “Re della città” da chiare allusioni a la politica interna. Potrebbe anche essere Aleppo o Parigi. Magari ogni uno di noi ce se la trasporta con sé. O al meno la vede crescere davanti a sé tutti giorni, senza volere o potere fare qualcosa. Al meno l’album intero descrive bene uno stato d’animo generale perso fra rabbia, disperazione, esasperazione e sottomissione.
Dove sono i fuori legge? I ribelli e i sognatori, di un tempo? “Tempi cupi” descrive la situazione: Chi ha venduto le promesse? A chi compra la parola onore quando paga la verità? Quindi siamo arrivati nella “città del niente” dove la situazione è poco gradevole: Cerchi una rivolta? Sei un sognatore già, sei perso nella cita morta, sei nella città delle speranze spente.
Diviso fra l’uno e l’altro cercando di conservare il poco che rimane, non può più metterti in pericolo, né rivoltarti per la paura di perdere il poco che hai. Un ipotetico tamburo promette di suonare: Quando? Per far che? E se mi ritrovo da solo al suo richiamo?
Non serve neanche pregare nel vuoto, perché nessuno salverà nessuno: “A nessuno importa” descrive la religione come un sistema di controllo complice che ci fa dannati e condannati per l’eternità.
Siamo “Masticati” indebitati dalla nascita, nel panico fin dalla tenera età, isolati fra noi, prigionieri fra la bibbia e la Tivù.
“Ingordi” ci descrive giustamente a questo punto: sconfitti, l’uno per ogni uno, ascendi la micia tanto non esploderà.
Perché davanti a noi c’è “Il re della città” l’imperatore delle cose che non vanno, che assolve da corrotto al colpevole, ma che non manca di martellare sulle tue dita se fai un passo di traverso. Cosa ci rimane? Di cosa possiamo accontentarci? In mezzo a questa indifferenza generale martellata ripetutamente nelle parole? Magari aspettare “La fine del Giorno” nel progressivo allungarsi delle notti. O aspettare una “Ragazza insolita”?
“Sul bordo” marca la fine della descrizione della realtà odierna e l’entrata nel desiderio utopico di cambiare. Nel senso in quale descrive questo stato: non ce la facciamo più, non possiamo più andare avanti. Ma questo stato dura ormai da anni, ormai da decenni, e si va avanti con sempre meno, mentre le risorse e le libertà diminuiscono ogni giorno. Siamo manovrati, diretti su questa strada semplicemente perché non si fa la rivoluzione la pancia vuota.
Pero dai, saltiamo lo stesso nella “Notte di Gloria” solo per il bene del pensiero: Sveglia! Scendi in strada sta notte, una rivoluzione accende la città... Finalmente la coesione fra gli elementi della nazione riprende utopicamente forma.
“Rumore inutile” arriva come la canzone dei partigiani nell’andamento dell’insurrezione: Bella ciao, quando sarà finita le ombre saranno più lunghe fra i palazzi in citta.
Per il momento bisogna far tavola razza: lo stupendo “Randagi e Proiettili” con i cuori che battono uniti al ritmo di una solo idea ci porta alla rivolta generale. “Guarda qua, guarda Babilonia, brucerà, brucia già, chi sa se li importa.” Dimenticando che geometricamente tutte le forme di “rivoluzione” riportano allo stesso punto (o poco distante).
“Via da chi?” è il puro gemello della canzone “the Trial” di “The wall” dei Pink Floyd al meno nel tono, al meno nella funzione che ha nell’album, ed arriva puntualmente prima il risveglio, la re-connessione con il quotidiano.
“La campana che suona” suona l’ora della penosa sveglia, la rivolta non è successa... siamo di nuovo sulla strada storta, Dimmi se i sognatori non sognano mai? Non ci saranno santi nemmeno eroi. Ed eccoci di nuovo nelle nostre scarpe. Niente sembra cambiato intorno a noi ma come beneficio impareremo a migliorare.
“Quello che resta” è una scritta su un muro in fondo alla città, niente di più, o magari un “vergogna” scritto su facebook. L’unico posto di sfogo concesso perché rimane lì, sui social, senza mai sboccare su una coesione nazionale, per dire no.
Non dirmi che hanno già vinto....

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