Capitolo 87 Francesco Camin album Palindromi

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- Immersione!

Comando dalla torre via l’interfono. Il boccaporto anteriore si chiude dietro l’ultimo membro dell’equipaggio, e già l’acqua ricopre una gran parte del ponte. Siamo di nuovo in missione. Il secondo mi chiede:

- Ho ricevuto la sua mail… Due rapporti completi… quel corto riposo non è stato tutto riposo per lei Capitan.

- Dai, c’era un po’ da fare, poi ho rivisto Huggy Bear al “Pits”, mi ha offerto un bicchiere. Non è stato tutto così male.

Scendiamo due ponti dalla torre per ritrovare il centrale. Siamo spariti della superficie.

Jones non fa fatica a ritrovare la firma sonar di Francesco Camin. E qua, a poche miglia al sud della base Nibraforbe. Esce di un lungo periodo di collaborazione con “Dodicianni”, un iper capelluto arruffato verticalmente, con il quale ha firmato due tracce accompagnate dal loro video: “Un’estate al Mare” e il commuovente “Come Robin di Locksley”: canzone e video semplici, ma monumentali di intensità. Il capo centrale appoggia un altro dossier sulla tavola delle carte, il file contiene due apparizioni a Balcony TV Schio e a Trento con la nostra Jenny. Francesco non è neanche discreto: ci parla dei alberi sul tubo e come se non avesse fatto abbastanza baccano con il suo Crowdfunding alberistico, Francesco Camin torna nella fascia del nostro sonar con Palindromi. Felicemente l’Intel, avendo partecipato generosamente all’operazione ecologica, ci manda in missione su l’argomento, con la raccomandazione di compiere il nostro dovere con la serietà dovuta. Come se tutte le missioni precedenti le avessimo fatte in modo leggero... Del resto, tutto l’equipaggio si ricorda della prima missione sul favoloso EP “Aria Fresca” di Francesco perché è il primo rapporto di missione che ha superato 1000 raggiunti nelle sfere dell’intellighenzia Trentina, culminando a più di 1200 all’ archiviazione del dossier, nell’ oblio blindato della base Nibraforbe. L’operazione ecologica sostenuta dal crowdfunding permette di possedere l’album prima della sua uscita ufficiale, e di piantare un albero in Africa o in Sud America... lontano. Troppo lontano secondo miei gusti. Perché non farlo in Trentino? Perché non farlo in Bondone o su qualche montagna del territorio? Che le vediamo crescere ste piante. Che sappiamo dove sono. Che le difendiamo perché sono vicine. Che andiamo a vederle ogni tanto. Un albero in Africa ci pensiamo tre giorni, poi mai più, o ben poco... Il Secondo interrompe il mio soliloquio:

- E davanti a noi a 4 miglia, nel 181, velocità 08 nodi, profondità 065... La strumentazione e già in funzione...

- Bene cominciamo...

Dopo una decina di ascolti, riconosciamo pienamente lo stile di Francesco. L’atmosfera generale dell’album è un po’ meno primaverile che “Aria fresca” i soggetti trattati sono generalmente più seri e approfonditi. Ritroviamo Roberto la Fauci al commando delle orchestrazioni e a vari strumenti: pianoforte, chitarre acustiche, chitarre elettriche, sintetizzatori, cori. Ma questa volta si è circondato da Marco Sirio Pivetti: tastiere, flauto traverso, Jack Barchetta al Basso, Daniele Billy Volcan: batterie e percussioni, mentre Francesco Camin si occupa delle chitarre acustiche o elettriche e canto.

E per contraddirmi appositamente “Tartarughe” è la traccia la più gioiosa dell’album quasi nello spirito di “Aria Fresca”. Il testo iperrealista si appoggia su percussioni preponderanti, che relegano il resto della strumentazione in secondo piano. Questa traccia sembra essere rimasta non finita a l’uscita del EP precedente, l’ispirazione arriva sempre a chi sa aspettare... “Tartarughe” fa giustamente il legame con questo nuovo album. Magari non avevano registrato le voci delle bambine del “Coretto di Marco” condotto dalla Maestra Marianna Setti, che concludono la traccia con determinazione e forza.

“Palindromi” è registrato con il suono di un piano dritto di una bettola polverosa di fondo valle e illustra il ripiego di due elementi di una coppia, al confronto di un ambiente esasperante, aggressivo, demoralizzante. Crolla tutto e la voglia di trovare qualcosa di positivo spinge al ripiego.  Visto da qui, assomiglia al mito della testa di ostrica nella sabbia, un “bisogna accontentarsi”, cercando un optional piacevole. “E mentre esplode ogni chilometro, noi ci assaggiamo ogni centimetro”. Pian con le unghie pero...

“Abisso” accoglie di nuovo la preponderanza delle percussioni basse, magari timpani, talmente sono giù nelle frequenze, condite di hand-clapping e di cori lontani. La canzone e spogliata a l’osso. Qua in sotto fondo una tromba, un violino, appaiono discretamente per sottolineare una frase del testo e sparire quasi subito. Siamo presi nella cadenza del testo, nei versi in evidenza sopra il tessuto ritmico, incrementato di un crescendo discreto di cori e strumenti che non si avventurano mai verso il primo piano. “Non risparmiare neanche una cartuccia, sparami in faccia, sparami in faccia”. Questa frase mi porta in mente un’immagine ossessiva che mi ghiaccia il sangue, ricordando un metodo punitivo della Ndrangheta. Devo quasi scusarmi di questa associazione di idea che si è cristallizzata nella mia mente.

“Tasche” ci offre un altro arrangiamento dosatissimo di Roberto la Fauci; sottile mesa in pagina, presentazione vantaggiosa di una demo sicuramente proposta solo con canto e chitarra. Un loop di pianoforte rappresenta l’ossatura della traccia, cambia colore nel ritornello e nella conclusione della canzone. Percussioni esistono, ma vengono dalla terza porta giù nel corridoio. Una chitarra senza effetti appare discretamente nei ritornelli. Ci si potrebbe criticare la mancanza di precisione nel canto sulla conclusione di fine strofe, al cambio di ottavo, nel primo verso. Penso che sia stato lasciato qui appositamente, per evidenziare l’onesta fragilità di Francesco. E tutto nel dosaggio. Ed e fatto bene. Un bel lavoro fatto qua.

“Verde” fa entrare uno squadrone di strumenti classici che erano apparsi discretamente in “Abisso”: Tommaso Santini e Jennifer Dorf: violino, Eva Maria Zaninotto: viola, Giorgio Castelli: violoncello, Ilaria Dorigatti: fagotto, Valerio Chiumiento: contrabbasso, Stefano Dalfovo: clarinetto, Irene Metere: Oboe, Michelle Zappini: tromba. Tutta questa bella compagnia sotto la direzione di Alessandro Arnoldo. Il passaggio prezioso della canzone è la melodia del canto su il testo ripetuto quattro volte, e il timido crescendo che lo accompagna: “Tu eri sole, pieghe di miele ed io, ero un cielo stanco di attendere, fu soltanto un attimo, e poi un addio, un colore nuovo di me, di te.  “Dovrei” ci riporta verso ritornelli pop ritmati, separati da tutta una serie di risoluzione di capo d’anno che hanno una speranza di vita effimera: “Dovrei lanciarmi giù dal tetto…” Poi anche qua parole iperrealistiche: “Dovrei respirare con la coda...” Vai... Provaci se sei buono in apnea, caro!  “Cose semplici” è un ritmo lento che mette da parte “Hamlet” e la cosmologia per focalizzarsi sulla bellezza basica odierna: “Il caffè che sale piano, il mio vicino da lontano” la trama della canzone è un campionario vocale declinato gioiosamente fra i versi. Un solo rimpianto su questa traccia e che Francesco trova il modo di finire le sue frasi. Poi 1.73 20 50 80 75 688 772 è la radice quadrata di 3... Aah!...

Oltre i rumori di bocca, originati nei cortili di scuole medie, che ritroviamo dopo ogni ritornello, per raddoppiare le frasi musicali di chitarra che concludono questo album, c’è l’ultima traccia; “Un gioco”. Traccia senza percussioni, ad esclusione del rombo di piatti che ricopre il ritornello. Questo folk lento propone un atteggiamento in caso di fine relazione: “E se arriva l’inverno, tu lascialo fare” senza voltarsi nell’aggressività; “E tu non voltarti, ti prego, se cerco una mano gentile” semplicemente scandito su una chitarra elettrica che arpeggia. Lasciamo questi “bop” di bocca concludere l’album.

Francesco Camin chiude in questa maniera così calma, il suo primo album completo, ci sono su questa galletta pezzi unici arrangiati con intelligenza e dosati più che bene. Lasciamo Francesco portare dal vivo la sua scaletta arricchita di queste 8 tracce, senza guardare troppo lontano verso il futuro opus e chiedersi con Roberto La Fauci: “Continuiamo così o cambiamo radicalmente di stile?” Andiamo a piantare alberi adesso, torniamo alla base.

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