Capitolo 79 The Rumpled album Jig of death
[…] seguito recensione Rebel Rootz
L’interfono della mia cabina mi tira fuori dal sonno, è il secondo che parla:
- Capitan! la strumentazione è in funzione e “The Rumpled” sono a portata di scanner.
- Arrivo subito, mi faccia trovare una piscina di caffè stretto nel centrale, con un trampolino sopra.
- La tassa è già qua, Capitan…
Il capo centrale è pronto con il suo discorso, appena mi sono seduto sulla poltrona del centrale, inizia già il suo rapporto:
- Allora, siamo in ante prima su questo album perché “Ashes and wishes” esce il 24 marzo 2018, ma il loro rilevamento, tenuto discreto, ci è stato rivelato da l’Intel. La band si compone di Marco Andrea Micheli all’ Canto, Davide Butturini alla chitarra acustica o elettrica, Luca Tasin, il famoso fratello di Michele dei Rebel Rootz al basso, Michele Mazzurana picchia finché vuole la batteria, Patrizia Vaccari suona il violino e in fine Tommaso Zamboni la fisarmonica. La band si è formata nel 2013. Li lego il telex da l’Intel: La JIG OF DEATH è la tipica colonna sonora dell’antica usanza del “lock-in” dei pub irlandesi. I locali, costretti per legge a chiudere nei giorni feriali prima della mezzanotte permettono a volte ad una fortunata manciata di “fidati” di rimanere dopo la chiusura. Abbassate le serrande (il “lock in”), si continua imperterriti a servire da bere e a ballare una musica inebriante e sostenuta, si dice fino “alla morte” dei clienti o all’alba successiva. L’album è prodotto da Gianluca Amendolara di Black Dingo Production, che sarà pubblicato il 24 marzo 2018
- E cosa vuol dire Rumpled? Chiedo.
- Non stirato, negletto, sgualcito, trasandato… prova il Capo centrale.
- ‘Na specie di “Chiffonné” n’somma… s’intrufola Jenkins, audace.
- Si bene grazie, Jenkins! Mettiti il naz sullo schermo dello spettrometro da subit, che cominciamo!
“The Rumpled” possono vantarsi di potere radunare verso lo sfogo della danza “jig” un largo pubblico di vari orizzonti. Da tradizionalisti a fibra di legno fino a metallari di passaggio, tutti trovano il loro conto nell’intensità e la potenza che generano. A guardare meglio, la cadenza si aggira intorno a 150 bpm di media su l’album. È irresistibile… Hanno la forza di una ruspa che sposta tutto. Poi Marco Andrea detiene l’arma letale; la sua voce è accattivante, calda e rauca, con la capacita di grattugiare una forma di Stravecchia Trentina a cento metri di distanza. Adesso chiedersi come una band di montanari suona come musicisti delle taverne di Kilkenny non può rimanere un mistero troppo allungo. La risposta è: perché no? Tanto, altri montanari suonano reggae, no? Poi avendo un fratello Tasin in ogni gruppo porta un inizio di risposta…
“Rumpled time” inizia l’album con la dichiarazione dello statuto del gruppo: “Ain‘t gonna dress like you, or do the things you do, We gonna be ourselves, and it’s the only way it’s true”. La fisarmonica spezza una via, come la prua di una nave che torna a buon porto. C’è abbastanza posto dietro per infilare tutti altri strumenti e spingere compatti. La voce scalfita e grezza incolla a l’atmosfera creata. I cori hanno un po’ l’odore di una “curva sud” ma poco importa; sei metti il piede lì dentro parti con la marea. Il segreto e tuffarsi di tutto il corpo.
“Just say no” non ci lascia il tempo di soffiare, il flauto di Iain Alexander Marr ci riporta verso la mischia con introduzione del pallone ovale da Mazzurana, per raccontare la confessione di un uomo semplice che uscendo di galera, non può offrire più di quello che ha alla sua morosa, se degna riprenderlo con se: “Yeah I say no hell no, you got me reelin’, ain’t gonna leave me broken, Like a man who’s bound to fail”
Gran colpo di acceleratore per la “Jig of death” nell’esercizio, neanche sproporzionato, di triplicare il suo proprio pezzo in bicchieri di birra: “Oh If you can dance all through the night, And triple your weight in dirty pints, The jig of death That is the life for you!” Il tutto portato dalla stupenda partitura comune del violino e della fisarmonica, notare che ritroveremo piacevolmente questa magica combinazione molto spesso nell’album. Adesso, il bagno per favore? Segui la linea gialla!
Frankie d. McLaughlin dei “the Rumjacks” è invitato a cantare I versi su “The Ugly side” che ci porta una notevole partitura di basso e una chitarra elettrica muscolosa per colorare di rock questo pezzo, che ci fa guardare in faccia, il nostro lato oscuro. Avendo il mio a galla vicino alla superficie mi sono sentito indagato fino in fondo: “I am the man who you pretend does not exist I am the ugly side you can’t deny”.
Ho un dolore di fianco e bisogno di soffiare. “I wanna know” offre l’opportunità di appoggiare la mano a qualcosa di solido, e guardare il suolo respirando profondamente, con il ritmo più calmo di suoi versi. Pensiamo bene; il ritornello è a solo 125bpm. Un tempo adatto per una separazione, suoi rimorsi e la strana curiosità di volere sapere chi riempirà lo spazio vacante. Tsssss. Sti uomini!!!
C’è come un odore di marea, di legno bagnato, di vele e di sale nei primi secondi di “Don’t follow me” sarà I “Ooooooo” e la cornamusa di Ghilli Vinderthor Prati, a dipingere quel quadro. Ma il soggetto della canzone è più che moderno: “The media says what they want you to know, It owns all the channels, your life’s just a show, Consuming the things that it says you desire, You’ll spend your last dime and go down to the wire”. E semplicemente la richiesta di alzare la faccia dallo schermo tascabile con quale ci tengono al guinzaglio. Tanto il mio è un Nokia dell’inizio secolo con tasti sbiaditi di plastica, quasi mi sento crescere le ali…
“County Clare” è un pezzo muscoloso che racconta la storia di un giovane che raggiunge un gruppo di ribelli per combattere la colonizzazione inglese nel regno dei Tudor nel 16imo secolo. Invece di morire in battaglia si agguerrì e riesce a tornare dalla sua promessa per trovarla nelle braccia del suo miglior amico. Dalla disperazione torna a combattere ma senza avere la voglia di tornare: “Remember me (when) you’re walkin free […] and drink to me, (when) you’re livin’ free in County Clare”.
Un violino deciso introduce “Bang!” Un pezzo gioioso che parla del sollievo di scoprire che uno straniero “dressed to kill” non porta bomba sotto il suo mantello. Episodio che può anche illustrare la fine del conflitto Irlandese. Ero troppo giovane a l’epoca per interessarmi al perché di tutto questo, ma mi ricordo che le azioni dell’Ira e le stragi dell’esercito inglese apparivano spesso su il piccolo schermo in bianco e nero di casa mia. Per lo meno è un bel pezzo per violino.
C’è un’ atmosfera diversa e molto più Rock, quasi Metal, e poi apertamente punk, per “Dead man running (on borrowed time)” Traccia puramente MONUMENTALE dalla sua intensità, dalla l’energia diffusa dalla batteria, dal suo passaggio strumentale enorme, dalla chitarra elettrica che treccia la rete su di quale si appoggia tutto, dalla partitura di basso che accompagna l’inizio del terzo verso, dall’ assenza di ritornello, dalla sua costruzione diversa, dal violino alto, che corona il tutto con maestria esemplare, che n’e basterebbe la meta, e dalla voce di Andrea per impacchettare il tutto. Uno HIT! Che sberla!
“Ramblin’ on” si veste quasi di accenti country western, per deporci di nuovo su un livello più tradizionale. Farneticare o divagare… Raccontare cose senza testa né coda è il significato di “Ramblin’ on” o la scusa proposta a chi ascolta per dire “penso stretto ma, in tant’ non ha importanza…” Io voterei la seconda. La grossa sorpresa su questa canzone è che sembra che ci sono due cantanti diversi, che si spezzano il verso in due parti distinte, pero L’Intel e lo spettrometro del bordo ci confermano che è Marco Andrea che s’incarica delle due partiture. Prima metta del verso con una voce pulita, seconda con la voce graffiata. Ottimo risultato.
La conclusione dell’album è più serena, quasi per lasciarvi calmare prima di rendervi alla vita odierna.
“Letter to you” è un crescendo che parte dalla tranquillità di un canto depositato su una chitarra folk. Presto gli strumenti entrano per dare corpo al ritornello: “Is there nothing I can say to you, nothing I can do So we can start a-new”. Il secondo verso sale di un grado, c’è un ponte musicale che alza leggermente il ritmo senza mai raggiungere l’isteria descritta qua sopra. Dopo tutto è una canzone romantica.
La sorpresa su questo tipo di produzione è totale. Prima perché il genere musicale è spostato dalla sua origine geografica e rimane ancora poco diffuso, nonostante l’ondata sotterranea che porta un’udienza sempre più larga verso la musica celtica attraverso suoi festival, che radunano maree di gente, conquistati uno per uno. Secondo, perché The Rumpled non hanno ad abbassare lo sguardo davanti a nessuno a l’interno di questo genere musicale: la qualità delle canzoni proposte qui, parla da sé. Sono trentini, sono Italiani, ma la qualità delle composizioni e la loro esecuzione esemplare li permettono di potere accogliere artisti di fama su questo album. Non penso sia solo per solidarietà…
- Jones? Mi fai una lettura dell’Interferometro, per favore? Abbiamo rilevamenti nuovi?
- Black Circus, Hi|fi Gloom, Lovecoma, Joy Holler…. Risponde Jones.
- E chi viene nella nostra direzione in quel momento?
- Erhm… Black circus.

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