"Morti e vegeti" arriva nella catena dei EPs e Album di Nibraforbe come un maglione diverso. Non potrai ritrovare l'essenza che traspira dei EP "'09", "II" o "Musica per capre ubriache" anche se gli ingredienti sono gli stessi, anche se l'autore/compositore ha fatto un bel passo avanti nella qualità. Per il paragone, si trova come "A broken frame" si trova nella catena degli album di Dépêche Mode. C'è meno ballo, meno festa, più nostalgia.  Al meno e la sensazione che lascia dagli due o tre primi ascolti. Nemmeno, saltano fuori dalla superficie qualche pezzo come scogli su un mare d'olio: "30 anni”, "Ti porterei al mare", "Scimmia tu" ...

Il cantico del freddo apre l'album con una bella sequenza.  E annuncia l'umore generale dell’album. Simone e di solito conciso nelle composizioni, cioè leggermente sotto i tre minuti per impacchettare un pezzo che sta in piedi da sé, e che dà in fine un gusto di "tornaci". L'illusione qui e tale, che il pezzo sembra stroncato.

"30 anni" inizia quasi normalmente e si stacca in volo nel ritornello al momento in quale la voce telefonata sparisce per lasciare posto a uno spazio in quale, percussioni, spiagge di tastiere e sequenze si esprimono al loro migliore potenziale. Sarei curioso di vedere l'impatto che tale ritornello, con cori adeguati, potesse avere su un’udienza. Da prolungare ovviamente per vedere il pubblico saltare in tempo...

"Ti porterei al mare" e un pezzo multi-strutturale che salta da gioia a calmo ed e arrangiato molto bene. Poi non importa se si tratta di freesby o bocce la frase musicale che lo porta aggancia l'orecchio.

Si deve aspettare "Baciata dal sole " per ritrovare un brano che si appoggia su una bella sequenza musicale che si ritrova con piacere tutto a lungo al pezzo.

“Myriam ripensaci” e il più " Broken frame" di tutti pezzi presentati qui. "Un pugno di te" assomiglia a la lista delle promesse fatte nelle canzoni d'amore dei gruppi americani disco degli anni 70: " Io fermerei la pioggia se tu me lo chiedessi". Poi cosa potresti rispondere a quella che ti risponde, le due mani su le anche, battendo il piede per terra e con uno sguardo pieno di diffidenza: "OK, dai, fallo... Aspetto!"

“Capra dio” e uno strumentale sincopato simpatico.

Si potrei quasi riconoscere la zampa di Paolo Conte in "Scimmia tu” portato da un piano forte saltante, per raccontare la rivincita dei primati su il massacro, imprigionamento, esperimenti "scientifici" fatti dagli umani sul il loro cugino genetico il più vicino.

Diciamo per concludere che Morte vegeti e meno accessibile a l'ascolto che "capre ubriache” che accattiva subito con suo lato festivo e fresco. L'uditore non dovrà tirare qualsiasi conclusione su queste prime sensazioni. Un’esplorazione più accurata rivelerà ben altro. Una profondità di campo esiste veramente. C'è una grande ricerca negli arrangiamenti e nonostante il serio dei soggetti portati avanti in "Capre ubriache" l'album rimane molto più gioioso. Poi, Morte vegeti annuncia bene il colore no?

Erick

Rock critic da terza mano

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