Capitolo 66 Pescecane album Fiori di testa

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[...] Seguito recensione Horrible Snack

- Secondo, rimaniamo sott’acqua o torniamo alla base Nibraforbe???

- Eeeeeh...

Il secondo sta cercando dati sullo stato dei rifornimenti e della calcia sodata prima di rispondere. Jones lui, mette tutti d’accordo: Senza l’ombra di un dubbio, esclama:

- Segnale nello ZERO, rotta nello ZERO, ZERO 1, 10 miglia, velocità 10 nodi, profondità ZERO 50...

- Ma è davanti a noi!?! Ostia! Avanti tutta! Hai una firma sonar, Jones?

- Segnale nuovo... con pezzettini di VetroZERO dentro...

- Capo centrale! Voglio dati, da ieri sera...

- Aye aye sir!

Ci sono stati pochi movimenti dopo lo scioglimento di “Vetrozero”. Hanno concluso la loro carriera con un album magnifico “Temo solo la malattia” in quale troviamo pezzi notevoli come “Contagocce”, “Il Mostro”, “Biarso”, “Grisou” ... Alessio Zeni il bassista è stato visto in giro con "L’Ira di Giotto” in compagnia di Mauro Cont, si trova adesso in una nuova formazione con Simone Gardumi del Nucleo Creativo Sardagnolo. Daniele Bonvecchio, il batterista, si è tuffato sotto il fascio del radar e lo ritroviamo nello stesso gruppo “Hifi Gloom”. Glauco Gabrielli si è concentrato discretamente nella scrittura di “Fiori di testa”. L’album arriva dopo una serie di tracce single rilasciate gradualmente sul tubo, con un video da sballo ogni volta per illustrarlo. Iniziamo molto discretamente due anni fa nel settembre 2015 con l’uscita di “Skit”. Poi pian pianino sporge “Via di qua” nel maggio 2016. In Agosto 2016 ci arriva il magnifico “Orient express”. Dicembre ci regala un cristallo di Natale nel martellamento di “Questo non e pop”. Poi per concludere una ciliegia sulla torta: “Nato di pancia” nel Marzo 2017 mette tutti d’accordo e fa girare le teste nella direzione di Glauco: ma c’è un album? Il rilevamento è davanti a noi e prende forma mentre ci avviciniamo. E Nero... Ma nero scuro e opaco. Dalla cassetta del CD al CD stesso, poi da l’inserto al contenuto, è tutto nero. Come la lastra di piombo che vediamo su orizzonte del nostro futuro. Ed Io sono dello stesso umore... Questo disco è inserito nell’aria del tempo: Co-scritto da Fabio De Pretis e registrato al Blue noise. C’è gente seria che suda sul mixer, per estrarre il meglio del Glauco. 

- Jenkins! Scanner, spettrometro, decoder audio in funzione, si comincia.

- Aye aye sir!

L’ album stesso è quasi tutto elettronico, con una spruzzatina di chitarre a momenti strategici. È articolato intorno a sequenze scure, pesanti, ricorda certi “Dépêche mode” del periodo “dark” con le sue linee di bassi potenti, e profumato di “SIN” nei suoni distorti, l’atmosfera generale sa di “Nine Inch Nail”. È scuro, e contiene ritmi convincenti, i testi sono declamati su un tempo potente e inesorabile, ma non è quasi mai rap.

“Questo non è pop” ci prepara al contenuto del disco. Una sequenza monocorde è l’armatura su di quale si deposita il canto e le spiagge di tastiere. La voglia di staccarsi di una realtà, diventata insopportabile, si definisce attraverso i versi. “Palloncino pieno d’elio portami su Marte[...] lontano di chi vende tua sorte a carte”.

Quelli stessi che fabbricano la precarietà organizzata di “Skit”. Il 21imo secolo non è più secolo di progresso, ma di povertà organizzata anche se hai un lavoro. La tua dignità è sparita, calpestata, diluita nei profitti di chi ti dà il posto. La disoccupazione è controllata e mantenuta per tenere gli stipendi bassi, le tasse alte, e ridurre la scelta dell’impiego a uno straccio, in forma di sopravvivenza: “Tanto ci sono 50 altri che vogliono questo posto di lavoro...”  Secondo me, non ne abbiamo ancora visto la fine. “Non sopporto le domande che fai: ma un futuro c’è l’hai?” Le parole cadono su quel ritmo medio, con la precisione della micro-meccanica.

Il risultato è la voglia di andare “Via di qua”. La traccia è costruita su ritmi meno meccanici, i sintetizzatori aprono frase più melodiche. Lo spazio si apre un po’, il canto si distacca un po’ più del rap nei ritornelli: “Invece resto qui, spreco un’altra chance, di andare via di qua”.  Passato di moda il “Vado in Messico” di Vasco, ora si mira più al sud, a Panama... l’unico problema è che parti con te stesso nei tuoi bagagli, e che rischi di ritrovarti proprio lì quando le riapri... le parole son incisive: “L' Italia sembra l’Africa” neanche qui, non ne abbiamo visto la fine.

Poi, Il basso distorto di “Orient express” riprende i comandi per questa traccia puramente MONUMENTALE. Tutto “Sin” “NIN” e “Dépêche Mode” e concentrato qua dentro, in mezzo a uno spruzzo di parole al vetriolo: “A certi stronzi come te, Io taglierei la testa”. Una tastiera chiara e alta sorvola piacevolmente, persa nell’eco, la potenza della lignea di basso per accentuare l’atmosfera scura un po’ di più, per in fine condurre questo trite budella ambiente, verso una voce urlata e saturata: “Tutto quello che riesco a fare è odiare sempre di più.” Premere riplay ossessivamente su questa traccia è un gesto normale. Ascoltare in loop è riservato solo a chi vuole immergersi nel suo proprio lato oscuro, come in un bagno caldo.

La cadenza di una declamazione alla “Yello” ci invita a dondolare con il ritmo. Ci si balla. “Nato di pancia” prende alle anche e fa battere del piede. Una chitarra funky si incarica delle rifiniture. Hai subito voglia di dancefloor. Questo è un hit. Non fa una piega. Affiderei quasi una “Extended version” a specialisti del settore.... merita veramente.

Prima traccia strettamente riservata agli possessori della versione fisica dell’album “Nessuno” porta alla fine degli aperitivi, delle alternative, dell’immunità, delle garanzie, della sanità. E un tempo medio ballabile su un testo a cavallo tra rap e canto. “Pandora a un vaso ma pieno di schiaffi, la verità e solo una scarpa che allacci”.  Tanto, soli o non, ci rimane il telefonino. Quello sì che ci ama.

Il ritornello dello stupendo “Waltz” aera un po’ la fine dell’album. La traccia contiene due versi in quale la piena strumentazione riempie solo la seconda meta, evidenziando il testo della prima parte, sparato su una base ritmica nuda. Nuova versione rivisitata del famoso “Veni, vedi vinci”, che rimane un po’ sull’aggressivo nel testo: “A farti gli auguri ti mando Tyson”.

“Fine della festa” si appoggia sul rumore di un meccanismo d’orologeria, ed è un lento pesante e potente. Anche qua partire, emigrare, sparire, scappare, sparire, fuggire. Il soggetto il più ribadito dell’album è ripetuto un’ultima volta. Storia di inchiodare per bene il concetto. Via di qua. Sprechi un’altra chance o fai il salto?

- Ostia de album, conclude il Secondo mentre gli ultimi dati sono trattati dal computer centrale.

- Vero! non c’è una canzone media in questo album. Tutte le tracce possono pretendere ad essere un single e portare successo, talmente la qualità è presente ovunque, da cima a fondo del disco. sicuramente un pretendente al titolo di “Album del Anno” in competizione con “Geni compresi” dei Supercanifradiciadespiaredosi, concludo con convinzione...

- Magari l’ven fora un altro album prima di Natale, che metterà tutti d’accordo, lancia Jenkins, un po’ diffidente.

- Si, magari è possibile e magari lo spero... Solo per vedere... torniamo alla base subito che siamo anche poco distanti e stacchiamo per un bel po’.

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