Capitolo 14 the Matleys Yell Demo 2012 e album Desirevolution

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Mi permetto un’immersione segreta a l'insaputa del Intel. L' equipaggio ha bisogno di rilassare dopo il ritorno movimentato dell’ultima missione. Lo studio di un album non ancora ufficialmente uscito è un privilegio che tocca profondamente il mio cuore di capitano. Non è che da un po’ di lustro al mio ego smisurato pero: Si! Per ridimensionare la mia parata di pavone nel centrale operativo, incrocio, un po’ imbarazzato, lo sguardo furibondo di un marinaio con un cerotto esagerato sopra l'occhio.  Credo si chiama Jenkins. Li faccio l'occhiolino puntando le due indici nella sua direzione, mandando un po’ di stima con un click dei pollici. Sembra che sospira parole per sé stesso, non so bene leggere sulle labbra ma sembra che brontola " Era un piercing, stupidone" o qualcosa del genere.

A poi parlare dei Matleys ci si può anche passare mezz'ora a cercare come chi suonano, senza mai mettere il dito sopra. Perché gli Matleys suonano come gli Matleys. Nel senso in quale le loro tracce sono composte di strutture sincopate, tagliate e re-assemblate, quasi stroncate e intercalate, come blocchi di colori diversi. A credere che hanno incluso a caso le idee o direzione di ogni membro perché era il suo turno di imporre qualcosa. Ovviamente ci si può trovare un po’ di Foo Fighters, tanto di XTC in "Pixie" o di Franz Ferdinand, di Artic Monkeys, ma cosa importa? Personalmente le trovo vicino agli Magic cigarettes, gli Meteopathics o gli Junow ma passato il sud di Ala, il Rock critic di base si può anche chiedere di che cosa sto parlando. Nelle grandi lignee possiamo dire che queste 9 tracce sono stranamente omogene, si assemblano perfettamente per fare un blocco solido. Solo la decima (la mia preferita) esce dal branco per avventurarsi su altri sentieri. Questo aspetto da un’illusione un po’ monocromatica a l'insieme nei primi ascolti, ma svanisce subito con l'ascolto accurato o ripetuto. Non ci sono grandi voci nel gruppo, niente che aggancia distintamente come le voci dei front men di "Mezzopalo" o "Five season" ma poco importa. Come lo dico spesso: non abbiamo bisogno di un Pavarotti o un Freddy Mercury ad ogni angolo di strada. Gli Matleys hanno messo tutti i loro ingredienti sul tavolo e hanno combinato genialmente, cucinando al meglio con quello che avevano. Magari il dosaggio dei vocali a seguito la guida luminosa di un certo Michele Vicentini, detto VICE, durante le registrazioni a Vigolo Vattaro... sembra che li, sanno di che cosa parlano. Cantano in Inglese ma pronunciano la distintiva "R" a l'americana. E si nota bene su “Flash”, "Mr Wolf" e "Pixie" che sono 3 pezzi presenti sul demo 2012 con un’introduzione molto diversa e che ritroviamo in versioni rilavorate sull’album.

Mentre ci siamo osserviamo l'evoluzione nei pezzi fra le due registrazioni: direi che la Demo è meno organizzata, ma più arruffata e più incisiva, magari portati da vocali un po’ più presenti nella parte alta dello spettro, anche se gli vocali su l'album sono molto più strutturati e emulsionati meglio, sono anche un po’ più amalgamati nella musica e sembrano un pelo meno avanti. Le tracce sono anche più lunghe su l'album. Nervosismo e grinta sembrano essere miei condimenti preferiti per condire le gallette, che siano di vinile o su CD.

 

“Yell” apre l’album con un aspetto leggermente scucito e rifletta il modo che il gruppo ha di costruire le loro canzoni.  Sembra che non hanno paura di prolungare certe note della partitura oltre il limite cartesiano della battuta o di mettere accenti a mezza battuta per squilibrare l’ordine prestabilito. Sanno uscire del branco e mi piace.

"Ain't no place for John" mette in evidenza la virtuosità del batterista, mentre due chitarre occupano bene lo spazio senza conflitti nella partitura.  La canzone procede con un passo pesante che si ferma un attimino prima di intraprendere il passo sincopato successivo. Accentua l’aspetto grintoso del brano.

“Mr Wolf” si veste di accenti alla “Block party” con il suo ritmo rapido e la sua chitarra che raffica le sedicesime durante tutta l’introduzione. Mr Wolf è il personaggio di Pulp Fiction che solve problemi. Soprattutto sei hai un corpo senza testa sul sedile di dietro nella tua macchina. Del resto un bel video Di Matteo Scotton illustra la canzone. Da vedere… sul tubo.

"The winter song" è la canzone la più sincopata e sembra essere stata re-incollata dopo essere stata tagliata in vari tronchi che li dà questo aspetto composite. Si conclude elegantemente con un bel assolo di chitarra ed è portata verso l'uscita, scortata da raffiche compatte di basso/chitarre/batteria che spingono assieme in uno sforzo comune.

“Flash” gradisce di una lunga introduzione in crescendo, propulsata dalla batteria. C’è un dialogo fra chitarre rabbiose e percussioni, fino allo stacco che conclude questo passaggio iniziale. il tono del canto rientra molto più in riga paragonando alla versione originale e grintosa della demo. Ci si riconosce la voce di Michele Vincentini dei Bastard sons of Dioniso nel coro finale.

"You walk my friend" sembra essere più pesante con il suo tempo meno rapido, ma le chitarre parlano chiaramente rock, sono più grintose e solide. Il ritornello e alleggerito dagli vocali spogliati dell’effetto che le ricopriva durante il verso. Ancora una bella tartina di grinta per la vostra collazione.

"Patrice Pepper" arriva da lontano per fermarsi alla nostra altezza per un rock gioioso, spinto da un bel basso messo un po’ più avanti, con suo ritornello accattivante che parte verso la fine, correndo a chiodo per montare le chiare a neve e sbattere la ciotola per terra, una volta il lavoro fatto. Sbam!

"Pixie" rimane una bella composizione che potrebbe senza fatica pretendere al posto di Hit single per promuovere l'album, tanto suoi cambi di ritmo, stacchi, e ritornelli sostenuti di cori alla quinta agganciano l'attenzione...  il gruppo si distingue ancora con questa irrefrenabile voglia di non fare una traccia lineare nell’album. Loro stile è lì, campato in questa originalità.

Concludiamo con una cover di "Someboby to Love" che tutti attribuiscono agli Jefferson Airplane senza sapere che hanno fatto... una cover di Darby Slick, che scrisse la canzone nel 1965, mentre era chitarrista dei "The great society", e cognato della cantante di Jefferson Airplane: Grace Slick. Comunque si deve aspettare il ritornello per riconoscere la canzone, talmente ogni Matleys ha messo della sua per trasformare il pezzo. Riarrangiamenti notevoli.

"Song for fucking idiots" arriva non come un capello sulla zuppa, ma come una fava trovata in una galletta. Portato da una sequenza e chitarre acustiche, imbocca una strada nuova, scopre nuove capacita, da un’idea di dove può portare un ingrediente nuovo, lascia una porta aperta verso uno spazio infinito. Prendere 5 musicisti... invertire gli strumenti... cuocere gli ingredienti prima di mescolare... invertire l'ordine dell’incorporazione degli ingredienti... cucinare a l'istinto... accomodare capricciosamente ... servire caldo.

Un ordine da l’Intel arriva sulla rete "flash" mentre torniamo verso la base Nibraforbe: “Rimanere in immersione per seguire un certo "Iacopo" che produce partiture legnose fra Junow, Wooden Collective e Candiru.”

Beh.... mentre siamo li....

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