207 Humus Non è giusto 

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[…] seguito recensione Supercani

- Segnale nel 360, rotta nel 141, distanza 2 miglia, velocità 16 nodi, profondità 140, firma sonar degli Humus, quattro schedati.

- Ulaaa! Son rapidi! Comunque non avremo a cercarli troppo questi qua… Lasciamoli passarci sotto, Ripiegare l’antenna parabolica galleggiante. Secondo? Lasciamoli prendere 5 miglia di distanza e poi attacchiamoci dietro, profondità 140…

- Aye, aye sir!

Gran bel colpo di fortuna; gli Humus ci passano sotto a grande profondità, diretti verso Sud-Est e ci salvano un prezioso tempo di ricerca. Sono piuttosto rapidi, ma anche se si allontano da noi mentre scendiamo, avremo un segnale chiaro tutto allungo il nostro inseguimento. Inutile dare l’ordine; il Capo centrale fa già parte della nostra scoperta a l’Intel e fa la sua richiesta di dossier su questo rilevamento. Il telex crepita prima che raggiungiamo il buio delle profondità:

- Allora, ritroviamo Marco Palombi alla chitarra e canto, Lorenzo Faes alla chitarra solista, che sono nel gruppo dall’inizio della formazione. Due altre pubblicazioni sono a mettere a l’attivo del gruppo: un Ep di 4 tracce del 2017 chiamato “Uno alla volta” con Federico Fava alla batteria e Daniele de Bernardis al basso e nello stesso anno un album completo “Cambia voce” di 10 brani con due schedatissimi da l’Intel: Stefano Negri al basso, che viene dagli Zeroids e suona tutt’ora con i Mondo Frowno e Fabrizio Lettieri alla batteria che viene da l’Opera di Amanda ed Eravamo Sunday drivers che stabilizzano il gruppo nella sua formazione attuale. L’album è stato registrato al Monolith recording studio di Vitulano, provincia di Benevento, vicino a Napoli da Filippo Buono, che si incarica della registrazione e del missaggio. Il master incomba a Giovanni Nebbia per la Ithil world mastering studio. La produzione e di Overdub recordings. La copertina e la messa in pagina sono di Francesca Lagaiolli. Maria Varricchio appare per dei vocali di sotto fondo su tre tracce; Disastro, Parlami e Cambia voce. Tutte le canzoni sono scritte da i 4 Humus, tutto lì…

- Grazie Capo!  Secondo, li stiamo in scia?

- Si… Da mezzo minuto circa, Capitan!

- Brao Secondo! Scanner, doppler, spettrometro, decoder audio, cominciamo!

Non giriamo intorno al pozzo troppo allungo, questa band fa del Rock ed è piuttosto muscoloso. Ma ci si può raggiungere una specie di apice in varie categorie; una band può suonare forte, denso, rapido, con un suono scalfito, e che ne so, magari più urli che qualsiasi altra band. Il suono degli Humus perspira attraverso i loro album e EP, perché hanno un suono compatto.  Come spiegare? C’è questa concentrazione del suono delle chitarre, basso e batteria sullo stesso punto, non soltanto potente e ruvido, ma sono anche compressato per spingere tutti assieme e creare una forza che sposta tutto. Ecco, la ruspa del Rock Trentino, sono loro. Cercano di passare attraverso un blindaggio e riescono a sboccare da l’altra parte, perché la forza c’è! E lì, appuntita e dura come un diamante. Poi ovviamente c’è questa voce alta, potente, scalfita, e inimitabile, che ti affetta il cervello in lembi sottili, che si potrebbe vedere attraverso. Le parole sono crude all’immagine della foto del profilo facebook di Marco. Lui non parla come un’arma da fuoco, ma come un canone.

“Offre la casa” vi impugna al collo per la prima sberla dell’album. La prima sorprende un po’, poi una volta che la vostra testa avrà viaggiato ripetutamente da destra a sinistra, incasserete i colpi seguenti con più facilita. Poi 1.56 è abbastanza corto per potere riprendere fiato. Qui, Lettieri alla batteria ha le renne in mano e prova ancora di essere uno dei batteristi più precisi e potenti della regione. Due chitarre è un basso fanno corpo. Non è un muro sonoro è una fortificazione. La voce vi sgrida, si raddoppia strategicamente sulle le frasi chiave, siete arrotolato a palla, la testa fra i guanti, nelle corde. Ci sono ancora 7 round da tenere, e provare di rimanere in piedi.

Non facciamo confusione “Questa domenica ti cullerò, poco importa se ti calmerai tu” sono le parole che aprono la canzone.  “Se ne riparla domenica” lascia degli spazi senza chitarre per lasciare un bel basso grezzo incaricarsi di tutta la canzone perché, è messo leggermente un po’ più avanti su questo pezzo. Magari Stefano ha suggerito in studio: “Dai, per far piacere al Capitan”. Brao, vecio e grazie.

“Disastro” è uscito come single in Dicembre 2022 e porta via il premio del migliore single al TMA 2022 cosi per l’aperitivo… Il Pezzo è quello che contiene più rilievi di tutto l’album, sembra il più aerato. Contiene passaggi calmi, quasi plananti, assenza di corde per lasciare la voce e la batteria creare una breccia, chitarre mordenti, crescenti che creano riprese sotto steroidi ed effetti sulla voce. Questa voce incredibile che “Taglia come un proiettile l’aria di questa stanza”. Magnifico.

Una batteria registrata con una riverberazione naturale apre da sola “Qui si decide” ritroviamo lo stesso rock compatto, che sa pero spezzarsi per uno stacco mozzafiato, un mezzo secondo sospeso o un effetto diverso su una parola isolata. La voce è particolarmente spinta su questi versi ed è leggermente distorta da un effetto. C’è un magnifico passaggio strumentale verso 1.40, ripreso come un tema sul finale; la traccia la più orchestrata e lavorata dell’album. Lode, lode e lode.

“Incudine” invita a nuotare con una collana un po’ pesante. La partitura del canto si spezza in due parte; una telefonata e postata un po’ indietro, l’altra frontale, ti fa sanguinare dal naso. Le chitarre sono sincopate, come tagliate al seghetto alternativo, il basso spinge più forte, la batteria spara come la Panzer divisione. Bel lavoro di Lorenzo, maestrale da cima a fondo dell’album. “Quanto ti costa, restare in cima?” 

“Parlami” è guidato nel suo ritmo più dettagliato da un grosso basso aspro che domina l’introduzione. Il ritmo è più lento ma più pesante, con accenti a mezza battuta, che spezzano il suo aspetto per renderlo meno lineare e più selvaggio. La frase “qui ci si mangia il fegato” relata l’atto del cacciatore delle terre fredde, che disecca la sua preda per nutrirsi immediatamente di una sorgente di vitamina A e B12, ma anche del rituale di John Jeremiah Johnson, americano del 19imo secolo, che vendicandosi dell’uccisione della sua moglie indiana, da altri indiani della tribù dei Crow, era entrato durante più di 25 anni in una vendetta verso individui di questa tribù, mangiando il fegato delle sue vittime per asservire la sua vendetta. Un modo di dire attraverso la canzone; “qui non si scherza”.

Un’altra sparatoria inizia su “Il male minore” il pezzo il più impazzito dell’album, che offre un colore o una tecnica diversa di trattare un brano o al meno una progettazione, che al primo sguardo sembra più complessa. Qui la partitura delle chitarre imbocca un sentiero non caotico, ma irregolare, che offre più asperità che continuità. Ci sono cambi di struttura nel ritmo che portano a corti passaggi più lineari. Ancora una traccia che avvita Fabrizio Lettieri permanentemente in cima al suo piedistallo.

L’ultima canzone si chiama “Cambia voce”. Tradizionalmente un album o un EP degli Humus si conclude con una canzone, che ha il titolo del Ep o album precedente. È stato vero per “Cambia voce album” di quale l’ultima canzone era “Uno alla volta” … La canzone finale del prossimo album sarà “Non è giusto”. La canzone è un lento e lascia quasi la possibilità di finalmente identificare la voce di Maria Varricchio che punteggia i versi dalla sua voce, sugli altri pezzi suoi interventi rimangono inclusi e fusi con i vocali di Marco. L’ultimo minuto e mezzo invita tutta la band a sollevare il finale, non con potenza, ma con talento e brio. Punto.

Il gruppo compatisce quasi con la smisurata intensità dell’album offrendo a vostri timpani lacerati “4 secondi di silenzio” che sono ristretti a solo tre secondi effettivi, sicuramente per ragione di budget. Per me, ho gli occhi gonfi, il naso storto e un dente per terra, pero ho la strana voglia di tornarci per un altro giro.  Sono un po’ suonato e le mie orecchie fischiano leggermente. E sicuramente la ragione per quale capisco di traverso l’intervento di Jones:

- Segnale nel 260, rotta nel 060, distanza 36 miglia, velocita 6 nodi, profondità 120. Sei schedati, firma sonar Jambow Jane…

Mi giro verso Jones, ma ho gli occhi dietro la testa:

- Eh?

- Firma sonar Jambow Jane, Capitan… insista Jones.

Mi giro verso il Capo centrale con una faccia che cerca disperatamente il nord e che chiede; ma cosa mi vuole questo qua? Il Capo, vedendomi visibilmente disorientato, crede utile di rimettermi gli occhi davanti agli buchi:

- Il gruppo di Nick Petricci, Capitan…

- Ah sì… Buono... Nen allora!

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